sabato 14 marzo 2009

Il peso delle parole

Quanto peso date alle parole che dice la gente? Solitamente, credo, ognuno di noi da poco peso a ciò che letteralmente dice la gente. Cosa importante ascoltare, analizzare tutte le parole che dice il nostro interlocutore! Ciò che conta è “capire” ciò che il nostro interlocutore dice. Capire un po’ così, a grandi linee o anche pienamente, ma di certo non soffermandosi sullo specifico significato di ogni singola parola. Sarebbe un lavoro da pazzi.
Talvolta però, credo sarebbe interessante anche soffermarsi qualche attimo a riflettere proprio sulle singole parole. Non dico proprio tutte le parole che vengono pronunciate, ma intendo dire soffermarsi su quelle parole che potrebbero essere il segnale di un modo di pensare.
Parlare in astratto è sempre più complicato che parlare in concreto. Veniamo quindi al dunque!
Da qualche tempo a questa parte (qualche anno, e, col passare degli anni, sempre di più) ho notato che negli ambienti politici - di politica vera e propria o anche solo di critica politica, o di politica fatta da politicanti - si è cominciato a diffondere l’uso di una implicita, strana e nuova similitudine.
A dire la verità, la pulce nell’orecchio me l’hanno messa alcuni rivoluzionari francesi - ormai morti e sepolti, ma che ‘ci governano dalla tomba’ – e in particolare il loro Art.16 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino – del 1789, ma sempre attuale! -, che diceva qualcosa come “Ogni società in cui la separazione dei poteri non è determinata, non ha costituzione”.
Molto probabilmente a molti è sfuggito, ma credo che a qualcuno non sia passata inosservata la pratica del confondere due piani - un tale francese, alcuni secoli or sono, li chiamava “poteri” – dello Stato: Esecutivo e Legislativo.
Mi riferisco alle espressioni che usano frequentemente i parlamentari appartenenti alla Maggioranza che sostiene il Governo in carica (non solo quello attuale, parlo delle ultime Legislature). Le espressioni (per me) incriminate sono: «Noi del Governo» o «Noi della Maggioranza», usate dai parlamentari (dai politici in generale) come due espressioni sinonimiche, di pari significato. Non so (voglio sperare che non) se lo fanno con malizia, o ingenuamente. Resta il fatto che operano una errata, perché sottintesa, parificazione semantica, la quale va, a mio avviso, a danno della democrazia.
Ultima conferma a questa mia idea mi è arrivata qualche sera fa, quando guardando in tv un dibattito politico, sono rimasto colpito da una precisa espressione usata disinvoltamente da uno degli ospiti della trasmissione. Proprio nell’istante in cui un deputato della Maggioranza pronunciò le parole «noi del Governo», il regista cambiò l’inquadratura. L’inquadratura fu galeotta! Seduti in poltrona c’erano il deputato della Maggioranza e, al suo fianco, un Ministro della Repubblica. Se non avessi visto chi stava parlando (o, comunque, non ne avessi riconosciuto la voce) avrei intuitivamente attribuito quella locuzione al Ministro della Repubblica. E invece quella locuzione era appena uscita dalla Onorevole bocca. In quell’istante ho trovato la conferma che stavo cercando.
Sono pronto a (e sarei onorato di) sentirmi dare del “Dottor Sottile”, ma credo che la questione, seppur, appunto, sottile, sia sostanziale. Sostanziale, consistente, perché illustrante la forma mentis dei politici d’oggi, perché chiarificatore del loro modo di vedere lo Stato e la democrazia.
Credo infatti che sia profondamente – lo ripeto, profondamente – sbagliato confondere il piano del Parlamento con il piano del Governo. Sono convinto che siano e debbano restare due piani distinti. Due piani che sappiano dialogare, che possano essere in accordo, che vogliano lavorare insieme per procedere più rapidamente e in uno clima di pax statale, certo. Ma pur sempre due piani distinti. Confondere i due piani vuol dire avere idee confuse sulla democrazia. O, quanto meno, idee confuse su come la democrazia deve operare (stando al disegno della Costituzione).
Dicendo infatti «noi del Governo», quando si è invece solo membro della Maggioranza, si dà per scontata una situazione che scontata non è e mai lo è stata.
Proviamo a percorrere nel giusto senso di marcia l’iter compiuto dal Parlamentare che ha pronunciato quell’espressione. Alle ultime Elezioni il Parlamentare è stato messo in lista (ecco già il filo scoperto che causa il cortocircuito!) dal Segretario – o dal capo, poco cambia – del suo Partito. Successivamente è stato eletto. Da ultimo è entrato in carica, e, da allora, si comporta da buon e fedele cagnolino, ben attento a non contraddire o mettere in dubbio gli ordini del suo Segretario, che, come ieri lo ha messo in lista, domani potrebbe “trombarlo” in 2 secondi. Il Parlamentare sarà quindi devoto, servile, consentimelo: suddito, del suo Segretario, e non avrà il benché minimo ritegno a mostrarlo in pubblico! E quindi, qualora il suo amato Segretario dovesse assumere incarichi governativi, beh, sicuramente, l’amato Segretario, godrà del pieno appoggio di colui che egli ha nominato al Parlamento! Ecco qui, quindi, il vulnus (uno solo dei molti, purtroppo) della nostra democrazia. Non esiste più un rapporto tra eletti ed elettori, tra rappresentanti e rappresentati, tra parlamentari e cittadini! Esiste esclusivamente, anzi, si è rafforzato, e per di più, univocamente, il legame tra Capo Partito e eletto-nominato-messo in lista. Sarebbe come credere di avere un pollice… non verde, verdissimo!, e quindi decidere di fare a meno di quelle sporche, ingombranti e ramificate radici. Farne a meno e quindi reciderle. Così. Dall’oggi al domani. E magari prima di Natale, ché si è tutti più buoni, a Natale.
E siamo (o, almeno, io sono, spero anche voi con me!) arrivati al punto: l’attuale legge elettorale porta i parlamentari stessi alla deriva democratica di confondere la Maggioranza (ossia, una parte del Parlamento) con il Governo, o, meglio, non (volere) coglierne la reale, sostanziale differenza.
Voglio dire che non necessariamente la Maggioranza e il Governo devo sempre e comunque fare sempre fronte unico contro l’Opposizione. Voglio dire che non è detto che la Maggioranza si metta sempre in prima linea a difendere l’operato del Governo e a sostenerlo. Voglio dire che non esiste – e non deve esistere – l’obbligo della Maggioranza di appoggiare sempre e indistintamente, in tutto e per tutto il Governo, anzi, la Maggioranza dovrebbe essere il primo soggetto politico a dialogare, a riflettere, a concertare con il Governo, per fare in modo che le proposte da esso avanzate possano trovare il maggior consenso possibile nell’arco parlamentare.
Il Parlamento e il Governo sono due parti fondamentali ma distinte del nostro Ordinamento Statale. Tra loro vi è un rapporto strettissimo, ma costituiscono due entità separate. In parole povere, non sono la stessa cosa. Il modus operandi delle diverse Maggioranze delle ultime Legislature ha fatto invece passare l’idea opposta. Confondere Maggioranza con Governo vuol dire sovrapporre due piani che sono invece costituzionalmente distinti. Così facendo, o, meglio, così confondendosi, si potrebbe quindi arrivare a travisare la nostra Costituzione.
Nel criticato, osteggiato, vituperato, non rimpianto (da molti, non da tutti) periodo di tempo che va dal 1945 al 1992, giornalisticamente detto Prima Repubblica, l’assioma - costituzionalmente sancito - era, strano a dirsi, la norma costituzionale: ‘il Governo deve godere della fiducia di entrambe le Camere’. Ciò vuol dire che il Governo, in un certo senso, dipende dalle Camere e dai loro membri, i Deputati e i Senatori. Nel momento in cui quel Governo perde la fiducia, anche solo di una delle due Camere, quel Governo sarà costretto a dimettersi. Senza voler percorrere la nostra storia costituzionale, è utile ricordare che si arrivò a questa soluzione anche per limitare il potere del Governo, ovvero del Presidente del Consiglio dei Ministri. Per limitare cioè il rischio di avere un eccessivo potere accentrato in una sola persona. Si preferì quindi che il Parlamento controllasse il Governo, optando per una soluzione che legasse a doppio filo il Governo al Parlamento. Questo non vuol dire che il Governo è sotto il giogo del Parlamento, ma vuol certo dire che il primo non può concedersi delle libertà giudicate eccessive dal secondo, il quale, contrariamente al primo, è un organo democraticamente legittimato.
Conosco un pochettino la nostra breve, ma intensa, storia istituzionale e so bene che spesso i Governi della Prima Repubblica avevano una vita di poco superiore ad un Anno Accademico, ma ciò era coerente con il dettato costituzionale. L’Art.67 della Costituzione parla di “divieto di mandato imperativo” per i parlamentari. In parole povere: il parlamentare può fare quel che vuole in Parlamento. Può decidere di approvare l’operato del Governo o può decidere di osteggiarlo, sia che il Governo sia espressione del suo stesso Partito o meno. Egli ne ha il costituzionale – e, quindi, sacrosanto – diritto. Certo, questo ha portato anche a pratiche popolarmente poco apprezzate, come quella dei “governi balneari” o dei “franchi tiratori”. Forse non erano operazioni… politically correct. Ma ‘è la politica, baby!’ Il Parlamentare è libero dal suo Partito e opera scelte come individuo a se stante.
E, invece, evidentemente, a chi ha riscritto la legge elettorale, la democrazia, così com’era, piaceva poco. Basta con il rischio di essere impallinati dai colleghi di banco. Basta con gli accordi sottobanco. Basta coi giochi di corrente. E’ giunto il momento della certezza della stabilità del Governo. E così il tanto vituperato “centralismo democratico” è passato dall’essere la ‘vergognosa condotta dei compagni’, all’essere la quotidiana abitudine politica.
Lo so, lo so! Nella Prima Repubblica i Governi crollavano come castelli di carta ad ogni accenno di... corrente. Ma ciò stava a significare che una parte della Maggioranza che ‘si fidava’ del Governo nutriva qualche dubbio! Il divieto di mandato imperativo ha anche permesso di arrivare talvolta all’immobilismo politico, alla ‘instabilità nella stabilità’. Comunque fosse, la democrazia. Verrebbe da dire ‘dura democrazia, sed democrazia’. Il Partito di Governo poteva avere serie difficoltà, ma ciò era sintomo delle ovvie diversità di pensiero che possono coesistere in un universo di anime. Non si poteva essere sudditi di un’idea che non era la propria.
Da molti, questa mia riflessione, verrà sbrigativamente liquidata come una questione di lana caprina o da "Dottor Sottile". Ma per chi, come me, crede che la forma sia sostanza, beh, la questione non è poi così banale.
Confondere Maggioranza con Governo vuol dire sovrapporre due piani, due ordini, due poteri costituzionalmente distinti. E se sono stati distinti dai nostri Padri Costituenti qualche buon motivo ci sarà pur stato, cosa ne dite??

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