venerdì 8 gennaio 2010

Se nell'UDC la “rettorica dei valori” copre un’operazione che è tutta politicista

di Marco Margrita

Cari amici UDC ma che differenza ci trovate tra una Bonino ed una Bresso?

Parto da uno spunto che Maurizio ha lasciato sulla mia bacheca di FB: "Cari ex amici UDC ma che differenza ci trovate tra una Bonino ed una Bresso?".
La questione è rilevante. In generale. Ed ancor più per un blog come il nostro, che ha provato spesso (per qualcuno anche troppo) ad interrogarsi sul ruolo dei cattolici in politica, specie in questa fase delicata della vita nazionale.
L’Unione di Centro (notare la bismarkiana eliminazione di ogni riferimento all’ispirazione cristiana/democristiana) sembra ormai essersi votata all’unica missione di disarticolare questo bipolarismo.
Detto per inciso, la politica urlata e di contrapposizione prodotta dalla “partitocrazia senza partiti” in cui paiamo essere rinchiusi anche a me piace per nulla.
La mitizzazione del centro ha consentito, anche per la disinvolta e per nulla organica sommatoria qui di potere clienterale e là di schietta militanza cattolica, altrove di vaghi moralismi clericali e più in generale con una certa accondiscendenza a moderatismi elitari e massoneggianti, al “partito” di Pier Casini di mantenere una quota di consensi utile a condizionare, specie in elezioni come le regionali, i grandi partiti. L’anarchia valoriale di un Cav. non capace di ancorarsi, se non in una declinazione banalmente conservatrice, al popolarismo europeo e l’irrilevanza dei cattolici-democratici nel PD hanno fatto il resto.
La “rettorica dei valori” copre un’operazione che è tutta politicista. In un progetto cui, non a caso, ha trovato casa il tecnocratico Ciriaco De Mita.
Ricordo, in tempi in cui ho speso più di qualche energia all’interno dello Scudocrociato secondarepubblichino, una formula cara a Michele Vietti: “dobbiamo essere il Partito Repubblicano della Seconda Repubblica”. Forse non bisognerebbe aggiungere altro; la formula dice molto del disprezzo per la dimensione popolare della politica che Bersani e Berlusconi paiono, pur tra mille contraddizioni, voler difendere.
La Bresso e la Bonino esprimono posizioni assai simili (un esempio su tutti il caso Englaro), condividono una visione radicale e relativista. Sono, in altri cambi, penso alla modernizzazione economica, anche capaci di spunti interessanti, ma davvero non paiono proprio, né l’una né l’altra, le compagne ideali per un lavoro politico che si voglia fare, laidamente certo, “da cristiani”.
Allora, dove sta la differenza? Nella funzionalità al disegno politicista di disgregazione del pilolarismo, in una conversione al leninismo (è vero e buono ciò che serve al nostro disegno) che l’Udc ha ormai fatto propria. Una conversione che temiamo non possa che portare ad una prodizzazione del Pierfurby (o per richiamare uno slogan coniato in un altro post: “Vietti come Castagnetti”).
Non cederò all’anticomunismo moralista ed antidiscotecaro di Giovanardi, ma nemmeno all’asservimento al feticcio del Centro come ideologia. I cattolici debbono certo essere protagonisti di una “uscita intelligente dal berlusconismo” ma non cedendo al ruolo di utili idioti (fa un po’ mosca cocchiera dire, come fanno molti leader Udc piemontesi, dire che “non siamo andati noi a sinistra, è la sinistra che è andata al centro”) dell’Ircocervo PD.
La differenza tra Bresso e la Bonino non c’è. Per quanto i salti di gioia a votare il leghista Roberto Cota non è che li faccio. Ed anche il PdL dovrebbe essere più popolare e meno moderato.

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