Forse non tutti sanno che… la Costituzione della Repubblica Italiana ha compiuto all’inizio di quest’anno 60 anni. E quindi, come ogni buona nonna che si rispetti, ispira in noi alti valori e ideali, ma spesso ci vizia troppo, non vuol porre limiti ai Suoi maliziosi nipotini. Il Costituente è sicuramente stato uno dei più preparati e saggi fra i Legislatori della storia, prima del Regno d’Italia e poi della Repubblica Italiana. Le due guerre mondiali sommate al Ventennio e l’esperienza ultracinquantennale del Regno avevano portato a giusta maturazione gli spiriti e le menti dei nostri avi. Non voglio qui tessere le lodi della nostra carta costituzionale, anzi, semmai vorrei rimproverare – con un buffetto, niente più – il Costituente per il suo unico peccato: l’ingenua buona fede. La vicenda andrebbe contestualizzata, avendo presente il background di allora, gli anni terribili appena finiti e un avvenire che non appariva poi così tanto migliore.
Accadde così che il Costituente, anche per ovvi motivi di tempo, in alcuni casi lasciò alla legge la riserva di disciplinare istituti o organi fondamentali per la completa realizzazione della democrazia, e in altri casi non volle “pensar male” dei Suoi successori, nella convinzione che essi sarebbero stati sempre egualmente animati dal rispetto e dalla devozione per la Sua creazione. Non pensarono male, e così “non peccarono”… e fecero male.
Basterebbe riportare alla mente gli esempi del referendum e delle Regioni: ci vollero più di 20 anni perché 2 pilastri della democrazia e della rappresentanza, quali essi sono, trovassero una disciplina normativa.
Questo avvenne perché il Costituente demandò al futuro Legislatore (ecco qui l’ingenuità dettata anche dalla necessaria rapidità) di regolare istituti ed organi invasivi e limitavi del potere del futuro Legislatore stesso. Come prevedibile, i Legislatori successivi rimandarono a lungo l’approvazione della legislazione necessaria per attuare previsioni costituzionali astratte.
Dicevo, basterebbe… e invece non basta. Non basta perché oggi stiamo assistendo all’ennesima prova di furbizia di coloro che rivestono cariche di rappresentanza istituzionale. Il nipotino, lo ripeto, è abbastanza malizioso (in taluni casi, a mio avviso, in malafede), e non riesce a trattenersi dal comportarsi come meglio crede, conscio che la Nonna poco può fare nei suoi confronti. Venendo - ‘finalmente!’ direte - al dunque, sto parlando del teatrino messo su dall’attuale Maggioranza e dai suoi membri per ostacolare e la nomina del Presidente della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi (per gli amici “commissioni di vigilanza RAI”), e, quel che è peggio, l’elezione di un membro della Corte Costituzionale.
Quanto alla prima questione, oltre all’antipatia che i rappresentanti della Maggioranza nutrono nei confronti del candidato alla Presidenza della Commissione (On. Leoluca Orlando) e, soprattutto, del partito a cui appartiene (Italia dei Valori), pare difficile trovare giustificazione, benché minimamente, valida all’ostentato rifiuto di procedere alla nomina. Orlando è sì il candidato “dell’ Opposizione”, ma ciò è normale se si tiene presente che le Presidenze delle Commissioni di vigilanza e di garanzia sono, per convenzione costituzionale, lasciate all’opposizione, proprio per il ruolo che queste stesse Commissioni rivestono. Dove sta la garanzia e la vigilanza, se controllato e controllore sono dello stesso colore?!
Ma concentriamoci sulla questione, dal mio punto di vista, più grave: la nomina del giudice costituzionale. Per rinfrescare un po’ la memoria: i giudici della Corte Costituzionale sono 15, dei quali 5 sono nominati dal Parlamento in seduta comune, alla spicciolata. Attualmente sono 14, perché Romano Vaccarella si è dimesso un anno e mezzo fa (30 aprile 2007). Il problema risiede nel fatto che, affinché la Corte funzioni, è richiesto un quorum di undici giudici (per le deliberazioni giurisdizionali). Inoltre è esclusa la prorogatio dei giudici costituzionali, il cui mandato decade improrogabilmente a 9 anni dall’elezione/nomina. Potrebbe quindi succedere (direi che sta già cominciando a succedere) che il Parlamento paralizzi la Corte. Per essere precisi, la legge costituzionale 2/1967 (art.5,2) prescrive che la sostituzione avvenga entro un mese, ma come si potrebbero mai sanzionare le Camere?? Qualora non si procedesse alle nomine, facendo scendere a meno di 11 i giudici costituzionali, la Corte solleverebbe conflitto di attribuzioni contro il “potere” (il Parlamento) che non esercitando il potere-dovere di nomina, le impedirebbe di funzionare, trovandosi, ad un tempo, parte e giudice dello stesso giudizio! Potrebbe allora, in una situazione che sarebbe ormai grave e drammatica per la democrazia, sollevare la questione di legittimità costituzionale della disposizione che vieta la prorogatio (art .135,4).
La situazione è un poco estrema, me ne rendo conto, ma bisogna vigilare (e qui sta la gravità della vicenda) a che questa previsione non arriva a realizzarsi.
Dalla distruzione dello tsunami sono sconvolti tutti, pochi notano l’altrettanto sorprendente ma lenta erosione della costa causata dal riflusso quotidiano delle onde del mare. Tutti noi ci accorgiamo dei cambiamenti improvvisi e repentini, facciamo invece poco caso ai lenti moti progressivi che portano al mutare degli aspetti strutturali solo nel corso di qualche anno.
Ho voluto tediarvi con questi due argomenti (aggiugerei “solo” due, ringraziate mi sia trattenuto!), per mostrarvi che forse l’atteggiamento poco rispettoso della Costituzione, e quindi della democrazia da Essa affermata e assicurata da 60 anni, atteggiamento assunto negli ultimi anni da una certa parte politica, potrebbe creare un clima di tensioni minaccioso per la sopravvivenza dell’eguaglianza, affermata in modo impareggiabile dall’articolo 3 della nostra amata Costituzione.
sabato 4 ottobre 2008
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